I bambini vogliono solo un pizzico di normalità: desiderano giocare, ridere, ascoltare musica e, perché no, uscire. Benilde Mauri ripete spesso questa frase, proprio perché ne ha fatto una filosofia di vita, anzi una missione, visto che è presidente dell’Associazione genitori oncologia pediatrica (Agop https://www.agoponlus.com), la onlus che da più di 40 anni si occupa delle famiglie dei piccoli pazienti in cura al Policlinico Gemelli di Roma. Oggi, nella nostra rubrica ‘Andiamo a conoscere’, ti presentiamo questa realtà davvero preziosa.

Com’è nata Agop? “Come tante associazioni simili, siamo nati da un’esperienza personale. Oltre 40 anni fa mia figlia si è ammalata di leucemia e così abbiamo iniziato un pellegrinaggio fatto di domande e paure. All’epoca non si pronunciava nemmeno la parola tumore, si parlava solo di male incurabile ed esistevano pochissimi centri di cura. Insomma, era un deserto fatto di solitudine e commiserazione. Così, siamo andati all’estero, in Francia, perché a Lione c’era una struttura all’avanguardia e lì abbiamo conosciuto parecchi italiani che stavano vivendo lo stesso percorso: parlavano tutti la nostra lingua,  erano pronti ad accoglierci e con gli altri genitori hanno cominciato a pensare di creare qualcosa di simile in Italia. Il destino ci è venuto incontro perché un amico mi svelò che il professor Mastrangelo, un giovane ematologo che era emigrato in America e aveva fatto parte del team che aveva curato il primo bambino guarito dalle leucemia, stava tornando in Italia, al Gemelli di Roma. Così, insieme ai genitori conosciuti in quel periodo, abbiamo dato il via a questa avventura. Il nostro scopo era costruire un luogo dove offrire a questi bambini cure all’avanguardia e supportare le loro famiglie dal punto di vista economico e psicologico. Non solo: volevamo anche rivoluzionare ambiente e protocolli, portando un po’ di serenità e, per esempio, riducendo al minimo i ricoveri e offrendo normalità ai piccoli. Un bimbo malato di leucemia non vuole aspettare di guarire fermo a letto, non si domanda come sarà il futuro, ma desidera godersi il presente. Così abbia organizzato gite, vacanze al mare, attività teatrali: quando i bimbi partecipano rinascono, sono più sereni che mai”.

“Volevamo anche rivoluzionare ambiente e protocolli, portando un po' di serenità e, per esempio, riducendo al minimo i ricoveri e offrendo normalità ai piccoli”

Diamo un po’ di numeri: quante famiglie seguite ogni anno? “In media 400 e nelle nostre case accoglienza a Roma e a Trento ospitiamo gratuitamente tra i 200 e 300 nuclei. Vengono da diverse parti d’Italia, soprattutto dal centro sud, dove esistono meno centri oncologici. Questo è un problema enorme e completamente ignorato. Invece, va risolto: bisogna costruire una rete, un sistema che funzioni”. 

Quali sono le vostre attività più importanti? “Il cuore della nostra associazione è l’accoglienza. Abbiamo un team di professionisti, dall’assistenza sociosanitaria agli esperti legali, che supportano la famiglia passo dopo passo: la aiutiamo a rimanere collegati con il paese d’origine e sbrighiamo tutte le pratiche burocratiche, dai permessi di soggiorno per gli stranieri ai documenti per l’invalidità oncologica. Dal 2018, poi, abbiamo aperto una casa di accoglienza anche a Trento, dove si trova uno dei pochi centri di protonterapia. Si tratta di una radioterapia speciale, molto efficace e che non lede gli organi. Anche in Trentino, quindi, ci occupiamo delle famiglie ogni giorno. Ora siamo pronti per aprire una nuova struttura a Roma perché aumentano le richieste di aiuto: la pandemia ci ha fermato, ma adesso siamo ai blocchi di partenza. E raccogliamo anche fondi per la ricerca perché l’oncologia pediatrica assomiglia un po’ a Cenerentola, ha poche risorse”.

A proposito di fondi, come vi sostenete? In questi giorni proponete le uova e le colombe di Pasqua: come si può aiutare Agop? “Si, organizziamo diverse vendite di beneficenza e varie iniziative; poi ci sono le donazioni del 5 x 1.000, quelle che si fanno con la dichiarazione dei redditi. Infine, possiamo contare su tanti amici e testimonial famosi, in passato Monica Bellucci ha sposato la nostra causa. Ma i testimonial migliori sono i bambini. Ecco, mi piacerebbe che il Governo e il Ministero della salute ascoltassero di più le loro esigenze. In questi giorni, per esempio, stiamo accogliendo tantissimi piccoli pazienti dall’Ucraina, lo abbiamo sempre fatto dai tempi di Chernobyl, poi abbiamo curato albanesi, iracheni, siriani, tantissimi neonati che arrivavano da guerre e tragedie immani. Ora non abbiamo più tempo da perdere: bisogna fare qualcosa per rimediare a questi orrori”. 

Quali sono i momenti più belli ed emozionanti, quelli che vi fanno capire di essere sulla strada giusta? “Sono tanti, tutti quelli in cui stiamo insieme e si respirano gioia e condivisione. Mi ricordo di una ragazza che mi raccontava che portava la parrucca per non cedere agli sguardi di pietà degli altri: era consapevole di avere una malattia grave, ma voleva vivere. Ecco, gli istanti migliori sono quelli in cui i nostri bimbi possono divertirsi. Per esempio, li portiamo sempre al parco divertimenti di Gardaland, in montagna e presto diventeranno marinai partecipando a una crociera speciale. Sa, conservo una foto scattata proprio a Gardaland: ritrae un ragazzo che spinge una carrozzina e sulla carrozzella c’è un bimbo che ne ha in braccio uno più piccolo. I nostri ospiti si aiutano tra di loro, si capiscono anche se parlano lingue diverse, rispettano religioni e tradizioni… All’inizio, una mamma mi raccontò di aver portato il figlio a Lourdes e che lui si era divertito molto perché, dopo mesi in ospedale, aveva potuto prendere il treno. In quel momento, ho capito che dovevamo portare questi piccoli ovunque, come dei bimbi normali e non dei malati. Non possono rimanere in attesa di un verdetto, non vogliono pensare a statistiche e percentuali di guarigione. Vogliono vivere come tutti gli altri”.