Un mare di donne, che sfoggiano con orgoglio una maglietta rosa e con lo stesso orgoglio corrono e camminano abbracciate e sorridenti pronte a urlare che il tumore al seno è solo un momento, un passaggio della loro esistenza, non la vita intera. È quello che accadrà l’8 maggio a Roma per la Race for the Cure, la corsa speciale organizzata dall’associazione Komen Italia. E oggi, per la rubrica ‘Andiamo a conoscere’, ti presentiamo questa onlus e la sua direttrice Violante Guidotti.

Violante, presentiamo Komen Italia

“Komen è un’associazione nata in America negli anni Ottanta. Tutto è partito da Nancy Brinker: sua sorella si ammalò di tumore al seno e purtroppo morì dopo poco tempo, giovanissima. Nancy le fece una promessa d’amore, ovvero di fare tutto il possibile per porre fine al dolore, alla vergogna e alla mancanza di speranza che Susan aveva provato. Così fondò a Dallas Komen, un’associazione in prima linea contro il carcinoma alla mammella. In quegli anni, il nostro presidente Riccardo Masetti era in America per alcune ricerche: conobbe Komen e Nancy e rimase quasi folgorato. Così decise di portare il progetto in Italia e da oltre 20 anni siamo realtà. Siamo strutturati sul territorio con 6 comitati e abbiamo raccolto più di 20 milioni di euro che abbiamo investito in oltre 1.000 progetti. Tra quelli che ci stanno più a cuore, per esempio, c’è la realizzazione del Centro per le terapie integrate al Policlinico Gemelli di Roma. Qui le pazienti oncologiche possono sottoporsi a quei trattamenti che non sostituiscono le cure classiche, ma aiutano a sopportarle meglio, come la mindfulness, l’agopuntura o la musicoterapia… Non solo: oggi in Italia, una donna su 9 si ammala di tumore al seno e le pazienti sono sempre più giovani: quindi la prevenzione fa la differenza perché permette cure più efficaci”.

Infatti, uno dei vostri appuntamenti più conosciuti è la Carovana della prevenzione. In cosa consiste?

“Si tratta di quattro unità mobili con cui giriamo l’Italia e regaliamo visite gratuite a quelle donne che non possono farle perché magari vivono lontane dagli ospedali, hanno problemi economici o paura dell’esito degli esami. Il progetto è nato nel 2007, con la prima unità mobile donata da Johnson & Johnson ed è andato così bene che si è allargato sempre di più: l’anno scorso siamo andate in 17 Regioni. Le 4 unità offrono mammografie, ecografie, visite ginecologiche, screening ginecologici e per la tiroide. Insomma, si tratta di prevenzione che può fare davvero la differenza”.

L'altra vostra iniziativa storica è la Race for the cure, che si terrà proprio tra pochi giorni. Perché una corsa è diventata un evento così importante?

“Perché le donne, pazienti oncologiche, hanno l’occasione di farsi vedere. Indossano una splendida maglietta rosa , si sentono partecipi di qualcosa, fanno parte di un gruppo e non sono più isolate. Poi vedono le altre donne, che sono guarite e ce l’hanno fatta e tutte insieme capiscono che questa malattia si affronta meglio condividendo. Il tumore spesso cancella il calore dei rapporti umani perché si prova un senso di vergogna per i capelli che cadono e per un corpo che magari si trasforma. E la nostra corsa, la Race for the Cure, invece dimostra che si può vivere tutto alla luce del sole e si può andarne fiere: è un momento di forza e orgoglio. Ed è una manifestazione che accoglie, perché le donne partecipano insieme a mariti, figli, amici e colleghi. Vi aspettiamo l’8 maggio a Roma e poi la corsa si terrà nei giorni successivi anche in altre città”.

“Si tratta di quattro unità mobili con cui giriamo l'Italia e regaliamo visite gratuite a quelle donne che non possono farle perché magari vivono lontane dagli ospedali, hanno problemi economici o paura dell'esito degli esami. Il progetto è nato nel 2007, con la prima unità mobile donata da Johnson & Johnson ed è andato così bene che si è allargato sempre di più”

Torniamo alla prevenzione: cosa significa oggi farla? Che sfida vi ponete?

“La  sfida è arrivare a quel momento in cui non ci sarà più bisogno di noi. Purtroppo non è ancora così, quindi andiamo avanti e portiamo la prevenzione dove non arriva. Come sull’isola di Ventotene, dove non c’è un ecografo, per esempio. Le donne si occupano della famiglia, dei figli, lavorano: insomma si prendono cura di tutti, ma alla fine si dimenticano di se stesse e allora noi camminiamo al loro fianco e accorciamo le distanza tra persone e prevenzione”.

Ogni anno, solo in Italia, seguite migliaia e migliaia di donne. Di cosa siete più orgogliosi?

“Del cambiamento culturale. Sempre a proposito della Race for the cure, all’inizio le famose magliette rosa erano di una tonalità chiara, quasi sbiadita, come se chi le indossava si vergognasse di farsi notare. Le donne poi mettevano anche un cappellino proprio per ripararsi dagli sguardi indiscreti. L’8 maggio, invece, vedrete una marea di maglie rosa shocking che marciano orgogliose. E un po’ di questo cambiamento è anche merito nostro”.

Quali sono i sogni della vostra associazione?

“Desideriamo crescere, investire sempre di più e salvare tante donne e si può fare solo con la prevenzione e le cure migliori”.