3 Minuti27 Settembre 2022

Tumore all’ovaio: tutte le novità


La novità dal congresso della Società europea di oncologia medica: un mix di farmaci aumenta le possibilità di guarigione

Tumore all’ovaio: tutte le novità

La strada, da oggi, è un po’ più facile da percorrere. Potremmo riassumere così, con questa frase, tutte le novità sul tumore all’ovaio che arrivano dal congresso della Società europea di Oncologia medica. L’importante appuntamento, che gli addetti ai lavori chiamano ‘Esmo‘, si è chiuso nei giorni scorsi a Parigi e i riflettori si sono accesi proprio sui progressi compiuti dalla ricerca. Te li raccontiamo qui.

Ogni anno, in Italia, si registrano 5.200 nuove diagnosi di cancro all’ovaio. Per questa patologia, purtroppo, non esistono strumenti di screening efficaci e quindi la prevenzione non funziona come in altri tumori, tanto che 8 donne su 10 scoprono la malattia in fase avanzata. Ma la ricerca sta portando delle cure sempre più mirate ed efficaci.

“Al congresso della Società europea di Oncologia medica si è parlato di due studi molto importanti: PAOLA-1 e SOLO-1. Il primo riguarda le pazienti che sono HRD positive, ovvero che hanno una particolare mutazione genetica, e punta tutto sulla combinazione di due farmaci, olaparib e bevacizumab".

In particolare, al congresso della Società europea di Oncologia medica si è parlato di due studi molto importanti: PAOLA-1 e SOLO-1. Il primo riguarda le pazienti che sono HRD positive, ovvero che hanno una particolare mutazione genetica, e punta tutto sulla combinazione di due farmaci, olaparib e bevacizumab.

“I risultati dimostrano che il 65,5% di queste pazienti è vivo a cinque anni dalla diagnosi rispetto al 48% di quelle curate con bevacizumab da solo” ha spiegato Nicoletta Colombo, direttore del Programma di Ginecologia Oncologica dell’Istituto Europeo di Oncologia di Milano e professoressa all’Università Milano-Bicocca. “La combinazione ha ridotto il rischio di morte del 38%”.

Il secondo studio, invece, si è concentrato sulle donne con la mutazione BRCA e anche in questo caso il farmaco olararib si è dimostrato davvero utile, soprattutto se usato per più di due anni, visto che ha aumentato di oltre il 20% la percentuale delle pazienti sane. Tra l’altro, le protagoniste della ricerca avevano un tumore in fase avanzata, condizione che fino a poco tempo fa rendeva difficile una guarigione.

Tutte e due le ricerche, poi, sottolineano l’importanza dei test genetici, che vanno sempre eseguiti a queste pazienti proprio per identificare il sottotipo di tumore con la massima precisione e capire quindi le cure più efficaci. La via da seguire è proprio questa: test genetici e nuove terapie.